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Mantra: la vibrazione che eleva e guarisce

Il mantra, il cui uso è largamente diffuso nella tradizione indiana, è uno strumento potente per mezzo del quale si intende ottenere il controllo della mente o indurre nella stessa contenuti diversi dagli usuali.
La parola sanscrita mantra, che originariamente indicava un inno vedico, dal punto di vista etimologico, come ho già affermato in altre occasioni, risulta dalla fusione del suffisso tra, abitualmente usato per formare nomi di strumento, e dalla radice verbale man che può riferirsi all’atto del pensare. Letteralmente si potrebbe dunque interpretare: “strumento per pensare” o, come a molti piace intendere, strumento per la mente.

Ma una diversa interpretazione, sicuramente più ricollegabile al tantrismo, sostiene che la parola deriverebbe da altri due termini ossia manana (sempre riferito al mentale) e trāṇa liberazione.
Nessun tentativo di definizione, tuttavia, può esprimere in modo adeguato il significato che tale nome assume nella cultura hindū.

In altri termini il mantra è per la cultura indiana uno strumento verbale a cui i più attribuiscono straordinari poteri. «Una parola o una formula... (che) rappresenta una presenza o una energia mentale; per suo tramite si produce qualcosa nella mente, in forma cristallizzata» (Zimmer - Myhts). Esistono, pare, circa settanta milioni di formule: quelle utili per superare un disagio, per avere successo, per assicurarsi una lunga vita, per proteggere dai pericoli e dalle difficoltà, per infondere amore negli amanti poco sensibili ecc.

Alcuni mantra dell’Atharvaveda, avevano la funzione di espellere dal corpo i demoni della febbre o di altre malattie.

Tra le parole di molti autorevoli testi si legge fra le righe che con l’utilizzo di un mantra appropriato tutto sembra divenire possibile e nessun indiano mostra dubbi nel collegare il mantra allo śabdabrahman o suono divino. Correttamente recitati e intonati divennero nell’antichità parte integrante della liturgia, ponendosi addirittura come strumento di comunicazione con la divinità prescelta.
Nei tempi moderni, l’efficacia del mantra non è tanto ricollegabile al significato delle parole che lo compongono, ma alla disciplina mentale che esso rappresenta, costituita da induzione nella stessa mente di impulsi volti all’elevazione e all’auto guarigione.

Sicuramente il mantenere la mente impegnata su contenuti “migliori” degli usuali, induce il fiorire di una diversa natura nel praticante.


Si afferma nella moderna psicologia che persino una bugia ripetuta più di sessanta volte diviene, per chi la sostiene, una verità. Per la stessa ragione esprimere con la propria mente migliaia di volte un “proposito”, se così si può dire, può portare verso una concreta realizzazione.
Non bisogna tuttavia dimenticare che, sempre secondo la cultura indiana, l’obiettivo più elevato di tali formule è quello di realizzare un collegamento diretto con il divino.
Esistono mantra per così dire generici (mahāmantra), adatti a tutti, e man- tra personali, in relazione ad esempio con la propria iṣṭadeva (la divinità con la quale un discepolo è stato iniziato), la cui continua ripetizione (japa), secondo la tradizione, chiarisce e purifica il pensiero.
Nei purāṇa si considera il japa come una via facile per giungere alla brahmavidyā o conoscenza del brahman (L’Assoluto o “Fondamento Eterno di ogni esistente”).


Molte di queste formule sono famose, ricordo ad esempio la Gāyatrī, un mantra composto di ventiquattro sillabe (una terzina di otto sillabe per ogni verso) che compare come X mantra al XVI sūtra del III maṇḍala. Il termine Gāyatrī c’è chi afferma che deriva da GāyAntaṃ trīyata iti che potrebbe significare alla lettera: “quello che soccorre (o protegge) chi lo recita è Questo”. A proposito del significato di tali versi, si legge giustamente, nell’enciclopedia dello yoga di Stefano Piano, che:
«Nessuna traduzione può rendere giustizia dei suoi molteplici significati e degli echi profondi che suscita nel cuore di uno hindū, ma una traduzione letterale potrebbe essere la seguente: “Meditiamo quella desiderabile gloria di Savitṛ ch’egli stimoli le nostre menti”».

Molti inni del Ṛgveda vennero tuttavia composti con lo stesso metro di quello più famoso dedicato alla Dea Gāyatrī moglie di Brahmā e madre dei quattro Veda.


Il mantra, per concludere, è uno strumento, considerato facile, ma serio, al quale si può ricorrere per stabilizzare la mente su un’idea e monodirezionarla verso un obiettivo. Ma... come si legge nella Vision Of Divine di Eruch B. Fanibunda, molte persone, indotte in errore, non comprendono la natura divina dei mantra e cercano di comprarli da altri che della spiritualità hanno fatto un “business”. Dopodiché dichiarano di aver raggiunto un particolare stato di meditazione. Tali stati non sono altro che una gamma di varie tonalità di autoipnosi, indotta attraverso suggestioni, e producono un temporaneo stato di euforia o benessere fisico. Il lettore sappia riconoscerle per quello che sono....