SubDoṣa
sama doṣāḥ samāgniś ca sama dhātu malakriyāḥ
prasannātmendriya manāḥ svasthaityabhidhīyate
(Suśruta saṃithā, 15.38)
Apro il seguente capitolo riportando ed interpretando in forma libera uno śloka tratto dalla Suśruta saṃithā che ben definisce il concetto di salute secondo l’āyurveda:
colui che è stabile, i cui doṣa sono equilibrati, ha agni bilanciato, i dhātu adeguatamente formati, beneficia di una corretta eliminazione dei mala e dei processi corporei ed ha mente, anima e sensi pervasi di beatitudine, costui è ritenuto una persona sana.
Tratterò in questi capitoli, compatibilmente con lo spazio a disposizione, sia i soggetti indicati da questo śloka come punti saldi per la salute ad esempio doṣa, dhātu, mala ma anche elementi di anatomia come gli srotas, i canali corporei grossolani, o la fisiologia sottile, proprio per fornire ai miei lettori la chiave di lettura delle mappe che arricchiscono questo manuale.
Nel capitolo precedente abbiamo trattato la prakruti o costituzione individuale, tuttavia, essa, nella sua totalità, consegue ad almeno quattro importanti aspetti ed è suddivisa in quattro categorie:
- janma prakruti: la costituzione derivante dalla genetica determinata all’atto del concepimento sia attraverso l’influenza della condizione dei genitori sia attraverso l’influsso negativo o positivo del karman individuale
- deha prakruti: la costituzione fisica attuale conseguente anche dal corpo sia causale sia mentale sia astrale
- doṣa prakruti: è la deha prakruti formulata nei termini vāta, pitta, kapha. Essa rappresenta il rapporto e la quantità dei doṣa presente al momento della nascita anche sotto l’influenza del luogo, della stagione, dell’orario e della disposizione dei pianeti
- manas prakruti: la costituzione mentale normalmente valutata in base alla presenza dei guṇa: sattva, rajas e tamas, parte anche del proprio codice genetico
Sottolineo altresì che microcosmo e macrocosmo, secondo un fondamentale principio vedico, sono in dinamica unitaria interrelazione, anche per causa di questi tre principi (doṣa) presenti in entrambi gli aspetti della manifestazione e, per conseguenza, la natura esercita, in bene o in male, una vitale influenza sul complesso psicosomatico umano. Bisogna tenere presente, inoltre, che, nonostante l’uomo, all’atto della nascita, insieme al patrimonio genetico, porti con sé le sue caratteristiche di base, queste possono apparire modificate lungo il percorso della vita. Diversi aspetti come lo stile di vita, l’alimentazione o anche, in modo particolare, il contenuto della mente (manas) sono in grado di indurre cambiamenti (vikṛti) atti a squilibrare i doṣa o a dar luogo ad una condizione patologica.
Qui di seguito volontariamente ricordo, prima di esaminare il principale oggetto di questo capitolo, i più comuni fattori che possono essere responsabili di un cambiamento e causa di “malattia” (vyādhi). Tali cambiamenti influiscono anche sulla specifica attività dei subdoṣa:
- Il prajña-aparādha: errore dell’intelletto, anche nel senso comune. Dico sempre ad esempio che un fumatore commette un grave errore di interpretazione pensando che il fumo lo calmi quando, pur tenendo conto dell’effetto placebo, con estrema facilità è possibile dimostrare il contrario.
- L’asātmyendriyārtha saṃyoga o uso improprio dei cinque sensi conoscitivi (jñānendriya): gli orecchi/l’udito (śrotra), la pelle/il tatto (tvac), gli occhi/la vista (cakṣus), la lingua/il gusto (rasana), il naso/l’olfatto (ghrāṇa). Più precisamente asātmyendriyārtha saṃyoga può essere tradotta: contatto nocivo dei sensi con l’oggetto di percezione. Attraverso questi strumenti percepiamo gli elementi (bhūta): la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria e l'etere. Una cattiva interpretazione compromette l’utilizzo appropriato dei prodotti della natura. Si pensi, ad esempio, a quanto sarebbe compromessa anche solo l’alimentazione da un’errata interpretazione del senso del gusto seguendo, poi, un uso distorto invece del “giusto”. Essa, come tutti sanno, in āyurveda è basata sui cinque sapori (rasa) la cui decodificazione è affidata alla presenza dei cinque elementi.
- Il kāla-pariṇāma, le modificazioni originate dalla periodicità del tempo:
- La successione stagionale (ṛtucaryā): secondo una certa gradualità anche il susseguirsi delle stagioni influenza tutto ciò che è vivente. I doṣa sono forze presenti nella natura e non facenti parte delle caratteristiche esclusivamente umane. Le stagioni rappresentano un chiaro esempio di relazione fra uomo e natura in quanto esse hanno forte ascendente sulla sua costituzione. In autunno e una parte dell’inverno ad esempio, quando cioè il freddo ed il secco sono evidenti, vāta è molto attivo; nel medio e tardo inverno, con il clima freddo e umido, kapha è più risoluto; all’inizio della primavera in condizioni di freddo/secco è ancora vāta a far sentire la sua presenza; durante l’estate infine, specialmente con il clima caldo/umido, pitta sale evidenziandosi progressivamente.
- La rotazione giornaliera (dinacaryā): durante le 24 ore, in modo ciclico, si manifestano con più evidenza i doṣa accentuandosi in successione secondo un ritmo graduale: 1) saṃcaya, fase dell’accumulo; 2) prakopa, fase culminante; 3) praśama, fase di attenuazione. Secondo l’interpretazione di alcune scuole, nei seguenti orari, dalle 2 alle 6 del mattino è vāta a prevalere, dalle 6 alle 10 kapha, dalle 10 alle 14 pitta, dalle 14 alle 18 ancora vāta, dalle 18 alle 22 kapha, dalle 22 alle 2 pitta. Ciò evidentemente determina, nel rispettivo orario, l’aggravamento di tutti i disturbi relativi al doṣa prevalente. Si può così anche comprendere perché normalmente ai nostri bambini in orario pitta si alza la febbre o perché le persone sofferenti di forti dolori come nel caso di una frattura, tra le 2 e le 6 del mattino avvertono un aumento di sofferenza.
- Il ciclo della vita: durante l’infanzia (bāla), che si calcola possa andare da zero a diciotto anni circa, prevale soprattutto la forza di assimilazione (a scopo di crescita) kapha. I disturbi tipici di questo doṣa, in particolare quelli respiratori, come raffreddori o asma, si evidenziano colpendo su larga scala i bambini i quali nella fase più acuta, sono costretti a rimanere spesso a casa da scuola. Dai 18 ai 50/55 anni, fase detta mādya, prevale pitta con tutte le sue caratteristiche. E’ la tipica fase del consolidamento dell’intelletto e della competitività. Si evidenziano in certi casi le malattie della pelle come l’acne, i disturbi gastrointestinali e della vista. Dai 55 anni in poi, nella fase detta vṛddha, vāta predomina e, per conseguenza, i disturbi come insonnia, tremore, costipazione ed artrite si diffondono sempre di più.
I doṣa si manifestano nell’organismo con queste caratteristiche divergenti: vāta è situato soprattutto nella parte bassa del corpo, pitta nel centro, kapha nella testa e nel torace. Essi, tuttavia presentano cinque funzionali suddivisioni dislocate in varie aree, chiamate subdoṣa, che esaminiamo qui di seguito sia dal punto di vista funzionale sia patologico.
Iniziamo da vāta i cui subdoṣa sono presenti e dominanti specialmente nella testa, nelle orecchie (anche come senso dell’udito), nella pelle (come senso del tatto), nella gola, nel cuore, nel ritmo del diaframma, nell’area dell’ombelico, nel cingolo pelvico, nel piccolo intestino, nel colon, nelle cosce. Le principali sue funzioni sono il movimento in generale, volontario o anche quello considerato “involontario” perciò pure quello relativo al battito cardiaco, al moto respiratorio, al trasferimento del cibo, delle informazioni nervose e sensoriali.
I cinque costituenti di vāta o subdoṣa sono:
- prāṇavāta (prāṇa: aria prima o principale) chiamato anche, soprattutto nello yoga,prāṇavāyu, si muove nella testa ma anche verso il basso in direzione della trachea, del cuore, dei polmoni (è responsabile principalmente dell’inspirazione), del diaframma. Alimenta il cervello, il movimento della mente, il pensiero, i sentimenti, le emozioni, le sensazioni e le percezioni. Si ha ragione di ritenere che la pura consapevolezza/coscienza, sia conseguente all’inattività di prāṇavāta. Uno scompenso di questo subdoṣa può dare luogo ai seguenti disturbi: ansietà, palpitazioni, aritmia, dispnea (sensazione di difficoltà respiratoria), affanno, singhiozzo, apnea notturna, bronchiti secche, nervosismo, difficoltà di concentrazione, Parkinson, paralisi, epilessia.
- udānavāta o udānavāyu (aria che va verso l’alto) parte dal diaframma e si muove verso l’alto attraverso i polmoni, i bronchi fino alla gola e ai seni nasali. Alimenta l’espirazione e l’esprimersi (anche come parola), la tosse, la normale eruttazione, l’espulsione dell’anidride carbonica. Sostiene la postura del corpo, aiuta a combattere la depressione. L’alterazione di questo subdoṣa comporta difficoltà a esprimersi, memoria debole, mancanza di un chiaro obbiettivo o direzione. Può indurre condizioni bronchiali difficoltose come abbassamento di voce, vampate, arrossamenti della gola, asma, enfisema polmonare.
- samānavāta / samānavāyu (aria che uniforma o equilibra) alimenta la peristalsi ed è perciò diffuso in tutto l’apparato alimentare, principalmente nell’intestino tenue. Muove il duodeno, il digiuno e l’ileo. E’ collegato all’assimilazione ma soprattutto alla digestione: è di fatti responsabile dello stimolo per la secrezione dei succhi digestivi e degli enzimi del fegato. Gioca un ruolo importante anche quando c’è appetito poiché trasmette un messaggio a prāṇavāyu per promuovere il desiderio di cibo. I più comuni disturbi connessi con l’imperfetta funzione di samānavāta sono: inappetenza o indigestione, iper o ipo peristalsi, cattiva digestione, assorbimento e assimilazione inadeguati, gonfiore addominale.
- apānavāta / apānavāyu (aria che si muove verso il basso) è situato nella cavità pelvica, nell’intestino ceco, nel colon, nel retto e nel tratto urinario. Stimola la flatulenza, governa ogni tipo di espulsione come quella relativa alle feci, all’orina, al flusso mestruale, al parto o all’eiaculazione. E’ presente nella vagina, nella cervice uterina della donna e nei testicoli, nella prostata e nell’uretra dell’uomo. Regola anche la funzione dei reni. Le principali indisposizioni connesse a questo subdoṣa sono: osteoporosi (apāna provvede al nutrimento delle ossa attraverso l’assorbimento dei minerali che avviene nell’intestino), stipsi o diarrea, poliuria (eccesso di orina), iper o ipomenorrea, amenorrea, dolori durante i rapporti o nel periodo dell’ovulazione, dolori nella parte bassa della schiena, alcune disfunzioni sessuali, orgasmo o eiaculazione precoce.
- vyānavāta / vyānavāyu (aria diffusa o penetrante) risiede principalmente nel cuore dove sostiene l’attività cardiaca ma anche nei vasi sanguigni (promuove la circolazione venosa, arteriosa e linfatica e, per conseguenza sia il nutrimento delle cellule sia l’ossigenazione dei tessuti), nella cute, nelle ossa, nei muscoli e nei nervi. Alimenta, dunque, principalmente la circolazione, ma anche i movimenti del sistema muscolo-scheletrico e l’innervazione degli organi di senso. Quando vyānavāta è in condizione critica, si manifestano disturbi circolatori e per conseguenza una generale ossigenazione deficitaria o un’improvvisa mancanza di ossigenazione, assoluta o parziale (comunemente chiamata ischemia), che può condurre fino alla paralisi. Gli edemi o ristagni di sangue nelle estremità inferiori sono anch’essi disturbi attribuibili a vyāna.
Quando pitta si squilibra va ad accumularsi specialmente nell’intestino tenue, ma questo doṣa si ritrova presente in maniera determinante anche nello stomaco, nel fegato, nella milza, nella cistifellea, nella cute, nella sudorazione, nelle secrezioni sebacee, negli occhi, nel cuore, nel sangue e nel cervello, grazie all’azione funzionale dei suoi subdoṣa che sono:
- pācakapitta (il pitta digestivo) è presente nell’intestino tenue e nella parte finale dello stomaco, negli acidi dello stomaco stesso, negli enzimi, nella bile e negli ormoni. E’ collegato ad agni, il fuoco digestivo (jāṭharāgni), il quale, quando è alto, ossia quando nello stomaco ci sono molti enzimi e acido cloridrico, sviluppa la sensazione di fame. Faccio notare, tuttavia che il fuoco digestivo risulta dalla cooperazione di più subdoṣa: pācakapitta, prāṇavāyu, samānavāyu e kledakakapha. Pācaka regola anche la temperatura del corpo. Quando il pitta digestivo è malfunzionante sviluppa: iperacidità, ipoglicemia, brama di zuccheri, indigestione, gastrite, bruciore, ulcera peptica, anoressia, dispepsia (dolore o fastidio allo stomaco).
- rañjakapitta (il pitta che dà colore) da colore al sangue, alla pelle e a tutti i tessuti, ai capelli, agli occhi, all’orina, alle feci, al sudore. È principalmente collocato nel fegato (yakṛt) che, come tutti sanno, è pure la sede dove si somatizzano e vengono, in un certo senso, metabolizzati la rabbia, l’odio, l’invidia, la gelosia. Nel fegato risiedono anche i 5 fuochi digestivi di ogni singolo elemento i bhūtāgni: nabhasāgni (il fuoco che metabolizza l’etere), vāyavyāgni (l’aria), tejoāgni (il fuoco), āpoagni (l’acqua), pārtivāgni (la terra).Rañjakapitta è, inoltre, nell’intestino tenue, nello stomaco, nel sangue, nella bile e nelle feci. Contribuisce alla produzione di globuli rossi. Nella milza, uccide i batteri e i parassiti producendo allo stesso tempo, alcuni globuli bianchi. È responsabile dell’energia termodinamica. Le patologie più comuni di rañjakapitta sono le epatiti, l’anemia, la mononucleosi, l’affaticamento cronico. In combinazione con kapha può produrre calcoli biliari, colesterolo o diarrea grassa. Il fegato e gli occhi sono strettamente connessi, infatti, una sclera gialla denota disturbi di questo organo e Rañjaka in difetto può promuovere alcune disfunzioni oculari (ad esempio quando si beve troppo alcool) o una eccessiva sensibilità (vedi fotofobia).
- sādhakapitta (il pitta del discernimento) si ritrova soprattutto nel cervello e nel cuore. Genera sia la comprensione sia la conoscenza attraverso il pensiero logico sia il coraggio. È responsabile della sensazione dell’io sono” e permette anche la digestione mentale e psicologica dei fatti dell’esistenza. Sādhakapitta è necessario per la trasformazione di un oggetto dei sensi in pura esperienza. Nel cuore, invece, processa le emozioni e i sentimenti. Il cuore è la sede dell’amore, della compassione, della condivisione e della cura per gli altri e pertanto è anche la sede nell’individuo di Dio. Un sādhaka alterato può causare squilibri come eccesso di generosità, comportamenti affettivi estremi, difficoltà di comprensione, disturbi di consapevolezza dell”io sono”, cattiva digestione mentale, egoismo, senso di prevaricazione, mancanza di coraggio.
- ālocakapitta può essere considerato il pitta degli occhi e regola la lucentezza, il colore, la traslucidità iridea e della cornea, permette di comprendere ciò che si vede ma più propriamente, in senso psicologico, consente di sperimentare una corretta o errata visione del mondo. Quando la visione è corretta gli occhi possono divenire la finestre di Dio e percepire la verità. Ālocaka, in collaborazione con prāṇa rende possibile la messa a fuoco di un oggetto visivo che poi prāṇa trasferisce al cervello per la sua decodificazione e comprensione che avviene per mezzo di sādhaka. Ālocakapitta è associato anche al piano emozionale: alcuni oggetti visivi possono ad esempio provocare pianto. Un ālocaka disturbato può indurre inconvenienti nella vista come ipermetropia o miopia. Quando è alto provoca congiuntiviti, bruciori, iriti (infiammazioni dell’iride), fotofobia, escrezioni.
- Bhrājakapitta è il fuoco che determina la luminosità della pelle e la sua temperatura. Situato soprattutto nella cute è tuttavia presente anche nel sudore e nelle secrezioni sebacee. Nei trattamenti favorisce il processo di unzione della pelle, applicazione di erbe, impiastri o medicine, incamminando le sostanze verso tutti i tessuti incluso il tessuto osseo, contrastando così l’osteoporosi. In collaborazione con prāṇa da luogo al senso tattile consentendo di sperimentare la stereognosia o conoscenza degli oggetti mediante il senso del tatto, ovvero, favorendo la percezione della grandezza, della forma e della superfice delle cose. Quando si trova in uno stato di alterazione, si manifestano dermatiti, eczemi, acne, calore e rossore nella pelle, oppure pallore, debole senso del tatto, formicolio, intorpidimento.
Kapha, il cui letterale significato è acqua rigogliosa, fiorente, quando si aggrava va accumulandosi principalmente nell’apparato respiratorio, nei polmoni che sono il serbatoio del muco (śleṣman) e nella saliva. Tra i doṣa, come ho già affermato in altre occasioni, è il più grossolano ma di vitale importanza nella costituzione dei fluidi corporei come la linfa e il plasma. Si trova anche nello sperma, nella flemma, nel liquido cerebro-spinale e sinoviale, nel cervello, nei muscoli, nel grasso, nel tessuto connettivo.
Mentre Vāta è catabolico e degenerativo, dispersivo, centrifugo, kapha è anabolico, centripeto, promuove la crescita, tende alla coagulazione e a mantenere insieme, perciò, è responsabile delle strutture concrete del corpo. Tende a produrre masse compatte per cui può causare un tumore, un linfoma, un mioma, un osteoma, una fibrociste.
E’ bianco come la linfa, lo sperma, il plasma, certi muscoli, la mielina, la materia bianca del cervello, i globuli bianchi, tutto ciò che è bianco nel corpo è kapha.
I suoi subdoṣa sono:
- kledakakapha (la forma dell’acqua che umidifica). Esso protegge nello stomaco le pareti dall’azione acida di pācakapitta, liquefa il cibo nella prima fase della digestione, mantiene idratati le cellule e i tessuti, fornisce energia alla persona dopo il consumo di alimenti poiché il suo sapore dolce fa salire la glicemia. Quando kledakakapha è in equilibrio, sviluppa soddisfazione, contentamento e, in questo caso, si avverte il bisogno solo di una piccola quantità di cibo, mentre, se è sbilanciato si cercaappagamento nel senso gusto. La presenza di maggior cibo, però,fa dilatare lo stomaco inducendo sempre maggiore necessità di alimenti prima di avvertire una sensazione di pienezza e soddisfazione. Se una persona è ansiosa, nervosa, insoddisfatta o insicura kledaka cerca di sopperire chiedendo cibo. In questo modo si sviluppa l’obesità, l’iperglicemia, il diabete, il colesterolo alto, che sono segni di un kledakakapha elevato. La presenza invece di ipoglicemia o ulcera sono sintomi di ipofunzione di questo subdoṣa.
- Avalambakakapha (la forma dell’acqua che sorregge) è localizzato principalmente nel cuore, nel sistema respiratorio in generale, nei polmoni, nella trachea, nel sistema cardiovascolare, nella spina dorsale e nella membrana pelvica. E’ presente come fluido nella pleura, nel pericardio e, come secrezione, nei bronchi e bronchioli. Esso lubrifica il cuore e i polmoni, è responsabile dei sentimenti affettivi e, qualche volta, degli stati depressivi che conseguono in caso di insoddisfazione. Quando avalambaka è equilibrato sviluppa fiducia, coraggio, capacità di affrontare i problemi, amore e compassione, nel momento in cui, tuttavia nei, polmoni si somatizzano tristezza e dolore, le funzioni polmonari vengono compromesse. Lo squilibrio di Avalambakakapha, di fatti, può causare: collasso del lume bronchiale, bronchiti, asma, polmonite, enfisema.
- bodhakakapha (la forma dell’acqua che dà percezione) sta nella lingua (che si muove con facilità grazie all’umidità e all’untuosità di bodhaka), nella saliva, nella bocca, nell’esofago, nelle tonsille, nelle faringi, nell’epiglottide, nelle corde vocali (una delle importanti funzioni di questo subdoṣa è di consentirci di parlare grazie alla lubrificazione delle corde vocali). È associato al senso del gusto, non solo in senso fisico ma anche psicologico. La capacità della lingua di percepire il sapore è determinante, secondo la medicina indiana, ai fini di una corretta alimentazione. Tale capacità è distribuita sulla lingua: la punta percepisce il dolce, mentre il centro a seguire, il piccante, poi l’amaro e infine verso il fondo l’astringente. La parte laterale anteriore rileva l’acido mentre il salato viene riconosciuto dalla porzione latero/posteriore. La lingua è strettamente connessa con il rasadhātu (plasma), in caso di disidratazione, infatti, diviene secca. Molti disturbi possono essere diagnosticati semplicemente osservando la lingua poiché essa è come una cartina geografica che rispecchia le condizioni di tutti gli organi. La degenerazione di bodhaka può provocare alterazione nel senso del gusto (compromettendo la corretta alimentazione), infezioni alle tonsille, alle faringi, disturbi alle corde vocali. Quando bodhakakapha è troppo dolce, i batteri si sviluppano sulla lingua compromettendo anche le gengive. La saliva densa indica che ci possono essere: diabete, calcoli dentali (degenerazione calcificata della dentina), elmintiasi nei bambini, ovvero, presenza di vermi nell’intestino. E’ bene ricordare, infine, che, grazie agli enzimi contenuti nella saliva, la digestione inizia proprio nella bocca.
- tarpakakapha (la forma dell’acqua che dà appagamento) risiede nel cervello, nelle meningi, nel fluido cerebro-spinale, nella guaina mielinica, nei seni nasali, nel cuore. È anche associato alla tranquillità emotiva nonché alla serenità e alla memoria. Quando il suo funzionamento è regolare si è pervasi da un senso di dolcezza e beatitudine dell’esistenza e si sviluppano sane ed essenziali interpretazioni della vita che rifuggono la critica e il giudizio. Le principali patologie che si sviluppano, invece, in caso di squilibrio di tarpaka sono: colpo apoplettico (ictus), morbo di Parkinson, tumori al cervello, perdita di memoria. Quando, poi, tarpakakapha diviene denso e solido, sviluppa rigidità e insensibilità che crea confusione e giudizi errati.
- śleṣakakapha (il kapha della lubrificazione) è il fluido sinoviale che si trova nell’interno delle giunture corporee e delle articolazioni in generale. Esso è denso, appiccicoso, liquido, oleoso, viscido e il suo principale compito è di lubrificare e proteggere giunture e legamenti. La degenerazione di śleṣakakapha provoca artropatie come artrite degenerativa o osteoartrosi, artrite reumatoide, dolore e infiammazioni alle giunture, rigidità e difficoltà nei movimenti ma può anche essere causa di infiammazione del nervo sciatico.